Seconde squadre, la grande occasione persa del calcio italiano. Ma forse c’è speranza
TMW/TuttoC.com
Da qualche settimana, si torna a parlare di seconde squadre. Forse in maniera concreta, ma facciamo qualche passo indietro: il ravvivarsi del dibattito nasce dalle novità introdotte dalla FIFA in materia di prestiti. Nei prossimi anni, Zurigo ha previsto un significativo giro, circostanza che rende le squadre B praticamente necessarie. In Italia, sulla carta, le avremmo introdotte da tre anni. Nei fatti, come i nostri lettori ben sanno, ne esiste soltanto una: l’Under 23 della Juventus, peraltro in questi giorni impegnata nei playoff per l’eventuale promozione in Serie B. In buona sostanza, ci saremmo mossi in tempo per non essere colti alla sprovvista, ma poi ci siamo riusciti comunque.
Per capire il fallimento del progetto seconde squadre - perché a oggi se ne può e deve parlare in questi termini - si deve tornare ancora più indietro. A stroncarle, un mix di errori fatali da entrambe le parti che oggi si vorrebbero/dovrebbero tornare a sedere al tavolo per discuterne di nuovo. La Federcalcio all'epoca commissariata da Fabbricini fu frettolosa, anzi precipitosa, nell’imporle al sistema con regole ben poco condivise, contando sull'appoggio della Juventus, che c'è stato ed è rimasto, ma di fatto spegnendo l’interesse che in quel momento c’era e con questo ammazzando la novità. I grandi club, viceversa, non hanno capito che in questa possibilità c’era lo spazio per una riforma epocale, a livello tecnico ben più significativa di qualsiasi altra si possa progettare in questi mesi: basta farsi un giro all'estero per guardare quanti talenti sono passati dalle squadre B, anziché perdersi in un vortice di prestiti e affani. E aggiungiamo: il contributo economico richiesto, sebbene non proprio economico - per l'iscrizione in Serie C, oltre un milione di euro contro i 50/100 mila che i club "ordinari" sono tenuti a versare - era inevitabile.
Così come vi sono errori da una parte e dall'altra, allo stesso modo vi sono ragioni su ciascun fronte. Il contributo di cui sopra l'abbiamo definito inevitabile ma forse si può chiamare giusto: le seconde squadre, viste nell'ottica di un singolo campionato, sono concorrenti che "tolgono" qualcosa. Su tutte: hanno meno pubblico, per dirne una e per usare un eufemismo. Alla rinuncia deve pur corrispondere qualche ritorno. Nello stesso momento, i grandi club, naturali depositari di interesse in questo senso, non hanno avuto tutti i torti a "spaventarsi" viste le modalità con cui sono state introdotte: sarebbe servita una riflessione ben più condivisa, e soprattutto partire nel momento in cui c'era qualcosa in più di una società, sebbene la più importante. Semmai, da due anni a questa parte gli interessati - che sulla carta non mancano: le milanesi, la Roma, la Fiorentina, l'Atalanta, il Sassuolo in misura diversa hanno bussato per capire come funzionasse il progetto - avrebbero potuto chiedere informazioni a Torino e ne avrebbero scoperti i benefici, prima economici e poi tecnici, che la Juve ne ha tratto. In molti casi, hanno preferito appoggiarsi a società satellite più o meno abilmente camuffate. Nel balletto delle responsabilità, in ultima analisi, ce n'è un po' per tutti. Ma ce lo possiamo lasciare alle spalle.
Considerato che si parla di una buona idea - in molti dissentono, e anche chi scrive ha avuto delle recenti incertezze considerato che il mondo dei grandi conglomerati di club va in un'altra direzione, ma di fondo la convinzione resta quella - introdotta male, e visto quanto detto sopra in merito all'esigenza "storica" di trovare un'alternativa alla mole enorme di prestiti cui molte società sono abituate per non dire assuefatte, se ne torna a parlare. L'hanno fatto diversi protagonisti, su tutti Lorenzo Casini, presidente di Lega Serie A, e Francesco Ghirelli, presidente di Lega Pro. Cioè le due guide dei campionati che si dovrebbero mettere d'accordo. La sintesi? Si deve aprire un tavolo, cosa che da queste parti consigliamo da un bel po' di tempo. Servono rinunce reciproche: quel famoso contributo non è qualcosa di cui la Lega Pro possa fare a meno facilmente, basti pensare che in almeno un bilancio di questi anni proprio il milione e rotti arrivato dalla Juve ha fatto la differenza tra passivo e attivo. Ma è disposta a ragionarne, purché delle risorse dal campionato maggiore arrivino in qualche altro modo. Potrebbe essere, da questo punto di vista, un buon esperimento per provare un metodo di ricerca del compromesso, magari da replicare in altri discorsi a questo collegato.
Questo perché, senza tornare su argomenti già e più trattati altrove, il tema delle seconde squadre si lega a doppio filo a quello della riforma. Il primo tassello che la FIGC sta mettendo è un irrigidimento delle norme previste per le iscrizioni ai campionati, il famoso indice di liquidità. E qui c'è un equivoco di fondo, torniamo al punto di partenza: una buona regola introdotta male diventa una regola pessima. Figuriamoci una riforma. Per quanto la Serie A posso contare zero a livello politico, pensare di toccarla nei portafogli senza darle ascolto, o addirittura farlo col suo voto contrario, vuol dire sbagliare tutto, se non proprio giocare col fuoco. In via Rosellini saranno irrazionali e disinteressati a pensare oltre il proprio tornaconto, ma alla fine della fiera i soldi per far girare il giochino li portano loro. Come quei ragazzini antipatici che nel cortile portavano il pallone: senza di loro non potevi giocare. Meglio parlarsi, e magari trovare un punto d'incontro: è l'unica vera soluzione. Vale per le seconde squadre, vale per la riforma.
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IL PUNTO di Luca Esposito
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