COSA ABBIAMO IMPARATO DAL CASO RIETI. MONZA VOLA, BARI STECCA: PROMOSSI E BOCCIATI DELLA 16^ GIORNATA
La vicenda dei laziali insegna che le novità funzionano, ma c'è ancora tanto da fare. Standing ovation per Brocchi & Co, meno per Vivarini
TMW/TuttoC.com
Lasciamo da parte per un momento le vicende del campo. Ci arriviamo, promesso. La vicenda del Rieti di Italdiesel si è conclusa, bene o male. Quella del Rieti di Curci è in divenire perché il patron cerca comunque altri soci (vi racconteremo, come sempre, tutti i futuri sviluppi su queste pagine), ma è tornata la normalità. Il che ci consente, a freddo, in attesa che altrove “esplodano” altre situazioni calde più o meno annunciate, di fare qualche riflessione con maggiore calma. E cercare di trarre le lezioni che possiamo imparare da questo caso Rieti, così diverso da quello, per citarne solo uno, del Pro Piacenza l’anno scorso.
La prima valutazione, ma l’abbiamo già scritto, è che le nuove norme funzionano. La rapidità con cui la Lega Pro si è mossa per sventare un altra partita tragicomica è stata da applausi. Aggiungiamo che il Rieti sarebbe comunque tornato a Curci per le nuove regole FIGC, e abbiamo il quadro di quanto si possa intervenire concretamente per evitare situazioni pericolanti. Via i banditi dal calcio, si dice. In tutta onestà, non sappiamo se chi aveva comprato il Rieti meritasse questa attribuzione o meno, non ci spingiamo così oltre. Sta di fatto che non aveva prestato le dovute garanzie, che forse non aveva approfondito le nuove regole, e che comunque una situazione precaria è stata ricondotta nell’alveo della tranquillità, più o meno.
La seconda è che le norme funzionano sì, ma riparano, non prevengono. A Rieti ci sono stati comunque stipendi non pagati, uno 0-3 sul campo, una penalizzazione, uno sciopero. Poi è rientrato tutto, ma queste sono cose che sono successe. Più di così, però, è difficile fare: le garanzie di inizio stagione sono abbastanza stringenti (probabilmente il massimo che si possa fare), i correttivi a campionato in corso funzionano e ne abbiamo avuto la prova. Pesa (non parliamo più del Rieti, ma di una squadra X a vostra scelta) il rischio legato a qualsiasi attività imprenditoriale: se a inizio annata una società è sana, e poi incontra delle disavventure economiche, le cose possono andare a rotoli. Nella vita, nel calcio. Aggiungiamoci, nel nostro caso, un fattore emotivo, ché spesso siamo ancora legati alla visione del patron di una squadra come una sorta di mecenate. E quindi, quando questi si disaffeziona, succede che all’improvviso molli il colpo. A livello culturale, potremmo/dovremmo, fare qualche passo in avanti, dal lato sia delle proprietà che delle tifoserie.
La riflessione da fare, con tutta probabilità, è generale. E riguarda quella sostenibilità di cui il presidente Gravina ha sempre parlato, a cui stiamo andando incontro a passi ancora troppo piccoli. La domanda è vecchia, ripetuta mille volte da qualsiasi tifoso in tutti i bar d’Italia: 60 squadre in Serie C non sono troppe? Decisamente sì, rispondiamo. Come lo erano 22 in B, e probabilmente lo sono anche 20 in A. Menzioniamo le altre categorie perché è da lì che si parte, a cascata. In terza serie i tagli possono essere più drastici a livello numerico, ma la resistenza, in questo momento, viene dall’alto. E invece abbiamo, probabilmente, da ripensare a tutto il nostro calcio. Professionisti che a 35 anni non sanno più cosa fare. Donne che giocano in Champions ma professioniste non lo sono. Piccole piazze che erano favole e ormai sono diventate la normalità. Club professionistici che sono talti soltanto sulla carta, nei costi e nelle strutture richieste, tutto esorbitante rispetto al tessuto sociale che rappresentano. Seconde squadre che prima volevano tutti e ora non vuole più nessuno, nonostante all’impegno economico si leghino vantaggi non da poco, tecnici ma anche finanziari, come alla Juve hanno capito benissimo. Mettiamoci a tavolino, lasciamo che l’acqua vada un po’ a tutti i mulini e cambiamo davvero il volto al nostro pallone. Compresa la Serie C: avremo altri casi Rieti, non andranno tutti bene. E il risultato ottenuto, tradotto in termini calcistici, è comunque più un pareggio che una vittoria: un 20-0 evitato, appunto. Quindi bravi ma non ci si segga sugli allori. E se l’ipotesi di chiudere la stagione con 60 squadre, viste le annate precedenti, sarà quasi un miracolo, allora è comunque il caso di muoversi.
Uno sguardo, rapido per non annoiarvi ulteriormente, all’ultima giornata di campionato. Promosso, ancora una volta a pieni voti, il Monza: facciano gli scongiuri, ma con buone probabilità hanno vinto il campionato a novembre (forse già ad agosto) e possono permettersi di iniziare a ragionare sul futuro. Che spettacolo. Chapeau al Pontedera che si rialza subito, delude ancora il Siena. Giù in basso è crisi a Olbia, mentre in casa Pergolettese verrà quasi voglia di confermare mister Albertini. Nel girone B ci sentiamo di promuovere il Padova che torna a vincere contro un Rimini in profonda involuzione, e la Samb che forse meriterebbe maggiore entusiasmo da parte del suo presidente. Passo falso del Ravenna, a Fermo la vittoria manca da un po’ troppo tempo. Arriviamo al sud: qui è presto per parlare di campionato vinto, ma signori, la Reggina va che è una bellezza. Domenica storta per il Bari, e stavolta anche Vivarini non ha convinto. A Bisceglie si sono inguaiati da soli, arriva un punto in uno scontro diretto che aiuta poco. Stavolta non bocciati, visto anche il terreno difficile, ma rimandati magari sì.
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