INTERVISTA TC - Pochesci: "Squadre U23? Il senso del fallimento"
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© foto di Federico Gaetano Senza peli sulla lingua. Anche a costo di critiche o esoneri, quegli esoneri che lo portano a essere per la prima volta senza squadra nel mesi di novembre. Fece scalpore Sandro Pochesci, ex mister della Ternana, lo scorso anno, quando prima di Italia-Svezia, la gara che agli Azzurri costò il Mondiale, disse che un tempo "menavamo e vincevamo, ora ce menano e piagnemo", aggiungendo poi che questa era la politica di un calcio che non privilegiava più gli italiani e che stava finendo. Perché senza un Mondiale avremmo perso tutti. Dopo un anno, la sua "profezia" si è avverata.
Ai microfoni di TuttoC.com è il tecnico stesso a parlare.
Un anno fa, circa Italia-Svezia, disse che se l'Italia non partecipava al Mondali tutti avremmo perso. L'estate trascorsa ha confermato ciò.
"Purtroppo quello che avevo detto si è verificato, anche sotto l'aspetto di un calcio malato a causa di una classe dirigenziale che ha portato allo scempio, ai campionati falsati di B e C. Ma si va avanti, e io confido nei nuovi presidenti, che rispetto a quelli del passato sono uomini di calcio, dal declino portato da Tavecchio si può solo risalire: e lo dice uno che il calcio lo conosce, è da quando ho sei anni che sono affiliato, sono partito dalla 1^ Categoria. E nella mia vita mi ha fatto male non vedere l'Italia ai Mondiali, competizione dove andava non da comparsa, ma sempre da favorita: io mi sono rifiutato di vederli. Non siamo gli inventori del calcio, ma prima ci rispettavano tutti: poi chi c'era ha fallito, e lo si è visto dal fatto che chi c'era non sapeva dove metter le mani, alcune squadre hanno iniziato il campionato a novembre, non hanno saputo come strutturare le squadre. Chi gestisce solo per i propri interessi, e le persone son sempre le stesse, deve essere cacciato".
Parlò di riforme già allora. Da dove si deve partire?
"I campionati vanno fatti con delle regole che tutti devono rispettare e che nessuno deve stravolgere a proprio piacimento. Ma prima ancora di questo servono le strutture e i centri sportivi di proprietà, come all'estero, dove tutte le formazioni di un club si allenano nel medesimo sito: e su questo deve intervenire il Governo. Poi appunto i campionati: ma è normale che in C ci siano già delle penalizzazioni? Io chi non rispetta le regole lo retrocederei, anche a campionato in corso: guardate l'Entella, per queste situazioni ha pagato un prezzo salatissimo. Meglio premiare le società sane, che possono poi rimediare a un aspetto più strettamente tecnico tattico: a marzo si fanno già le iscrizioni per il torneo successivo, e chi non può sostenere questa spesa lascia. Come ultimo step, mi rifaccio a un'altra cosa già detta: i troppi stranieri nei nostri campionati. Io metterei obbligatoriamente un minimo di 6 calciatori italiani in campo, e in rosa almeno 5 provenienti dal settore giovanile che, come detto, deve poter contare su strutture, impianti e istruttori qualificati. Mi auguro che il neo presidente, a costo di risultare impopolare a livello europeo, pensi a queste possibilità".
In C sono state introdotte le Squadre B: che senso hanno?
"Il senso del fallimento. Solo la Juventus ha aderito, e per altro con una formazioni di stranieri e over: tanto valeva ripescare squadre come Taranto o Messina che fanno 12mila spettatori allo stadio. La Juventus vuole la Serie B per i contributi, così non si sta valorizzando nessuno: ma le U23 devono nascere per dare poi i giovani alle Nazionali U19, U20 e U21. Le big possono aiutare il calcio solo se accettano di far giocare sempre almeno tre giocatori della Primavera, da formare. Porto l'esempio di Plizzari, classe 2000 del Milan che avevo a Terni: con me 23 presenze, ora fa il quarto ai rossoneri. Come è possibile? E come si fa a formare così i giovani?"
Prima accennava anche agli istruttori che formano i giovani. E la C deve essere un po' questo. Ci sono allenatori all'altezza?
"Gli allenatori italiani sono i più preparati, è il sistema che li stritola: se non vinci dopo 4 gare ti esonerano, è chiaro che uno punta poi solo ai calciatori di esperienza. Ma voglio far due nomi, Totti e Rivera, che a 16 anni erano in Serie A: giocavano perché erano forti, e c'era chi dava loro fiducia, mentre adesso in Serie A i giovani non ci giocano praticamente più. Se ci fosse una sorta di piramide di opportunità, sarebbe diverso, per mister e calciatori".
Come vede quindi la regola degli Under in Serie C?
"E' un concetto sbagliato, e non vado in contraddizione per un semplice fatto: non crea la piramide cui accennavo prima. Si dovrebbe trovare un equilibrio tra obblighi e facoltà, dando possibilità anche a chi non riesce a fare il salto, per evitare che a 23 anni i giocatori smettano di giocare. Il calcio è un patrimonio importante per tutti, non dimentichiamocelo. Anche le formazioni big dovrebbero dare spazio a chi merita, perché se a livello giovanile siamo forti ma poi a livello maggiore non ci qualifichiamo neppure al mondiale vuol dire che un tassello viene a mancare. Un esempio potrebbe essere la Coppa Italia, che io farei giocare solo agli italiani: diamo loro un premio, hanno più senso di appartenenza e crescono".
Si parla molto di semiprofessionismo: potrebbe essere una via risolutiva?
"Per me può esserci anche solo il professionismo, se mi alleno 5 volte le settimana anche se gioco tra i dilettanti, è la mutualità che deve cambiare. Dobbiamo essere bravi a trovare l'equilibrio che modera le spese, snellisce le tasse, lo stato deve aiutare. E' inutile dare i soldi alla A per Cristiano Ronaldo, i soldi vanno dati anche alle base, conta anche quella per crescere".
La mutualità sarà comunque uno dei temi che toccherà Gravina.
"La mutualità non può esser la stessa tra A e C, praticamente si mette sullo stesso piano CR7 e un calciatore, a esempio, del Gozzano, ma CR7 porta i soldi alla Juve, in C questo non accade: accade solo che le mutualità strozzano i presidenti, che in C vanno a rimessa, hanno solo un minimo di visibilità e niente più. Al massimo vanno in pari in B ma se sono bravi, come quello del Cittadella. Servono maggiori agevolazioni fiscali, ormai le società di calcio sono aziende vere e proprie che portano posti di lavoro".
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IL PUNTO di Valeria Debbia
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