Fuga in avanti o mossa geniale? L'innovativo e cervellotico format proposto da Ghirelli è comunque una luce nel buio della riforma
TMW/TuttoC.com
In tutta onestà, non ci siamo fatti ancora un'idea completa del nuovo format proposto in settimana dalla Lega Pro. In fin dei conti, le stesse società che dovrebbero affrontarlo avranno a disposizione un mese per farsela, ergo possiamo prenderci questo tempo anche noi. Con buone probabilità, non vale neanche la pena farsela sino in fondo: era leggermente diverso prima della presentazione all'assemblea - arrivata come un fulmine a ciel sereno e di questo non a caso il presidente Ghirelli si è dimostrato orgoglioso - e cambierà ancora da qui all'eventuale approvazione definitiva. Ricapitolando, difatti, i club del campionato di Serie C avranno tempo fino alla prossima assemblea per studiare e proporre correttivi: in quell'occasione si deciderà cosa modificare e cosa no, ma soprattutto se sia il caso di portare questa proposta in Consiglio Federale, peraltro nella data, il 12 dicembre, annunciata da Gravina come l'inizio della discussione vera e propria all'interno del percorso di riforma.
Come tutte le nuove proposte, ha pro e contro, a oggi soltanto teorici. A partire dal fatto stesso di aver avanzato un'idea di questo tipo, fuori dal coro rispetto a quello che da troppo tempo (non) sta succedendo in ambito federale. Se anche negli ultimi appuntamenti informali la FIGC ha fatto dei passi avanti in un percorso innovativo per il calcio italiano, è altrettanto vero che in federazione sembra esservi fin troppa cautela ad affrontare il nocciolo della questione: il format dei campionati e il numero di squadre professionistiche esistenti in Italia. Su questo ultimo elemento torneremo, perché non è secondario. In questo contesto, la mossa di Ghirelli può essere letta tanto come una fuga in avanti rispetto alle altre leghe, quanto una trovata geniale: ai posteri l'ardua sentenza, nel frattempo verrebbe da dire che almeno qualcosa si muove. Se la tanto agognata riforma è ancora una nebulosa di cui nessuno sa nulla, questa proposta è un tentativo di giocare a carte scoperte di cui bisogna comunque essere felici.
Allo stesso tempo, pro e contro si riversano anche nella struttura stessa delle competizioni per come sono concepite. Cervellotica, tanto per partire dal contro: il rischio di perdersi negli incastri e negli incroci che determinerebbero l'andamento della stagione. Per di più, nessuna regola è davvero la panacea a tutti i mali: sia dal punto di vista della vicinanza territoriale all'interno dei gironi che nel passaggio dalla prima alla seconda fase andrà studiato ogni passaggio per bene, la polemica è dietro l'angolo. Infine, altri due rilievi sui quali Ghirelli ha sostanzialmente glissato anche nell'intervista rilasciata a questa testata: il probabile aumento dei costi e l'incoerenza del progetto seconde squadre, di cui chi scrive è un gran sostenitore, ma che di territoriale ha poco o nulla e che a questo punto - nonostante l'esperienza sia considerata molto positiva in casa Juventus - meriterebbe una più seria riflessione. Per restare nel recinto dei contro, ispirarsi troppo al modello NBA o in generale del basket porta con sé gli stessi effetti negativi: se la prima parte di stagione ha un peso bassissimo sull'esito finale, il rischio di allontanare i tifosi da partite abbastanza inutili è molto concreto.
Sull'altro fronte, è una formula che - se passerà così com'è - ha anzitutto il grande pregio di essere innovativa. Nuovo non sempre è bello, ma il calcio sta sfuggendo di mano alle nuove generazioni, che non lo guardano e non lo amano: offrire loro qualcosa di diverso da un interminabile campionato spesso di livello piuttosto basso come avviene da anni in Italia potrebbe riaccenderne l'entusiasmo. Anzi, si potrebbe forse persino osare di più da questo punto di vista. Riempire i gironi di derby e rivalità territoriali dovrebbe sulla carta aumentare la partecipazione dei tifosi e la loro presenza allo stadio. Anche qui, però, attenzione: se poi si vietano le trasferte, anche con rischio minimo, salta il giochino e ci ritroviamo ad assistere a un campionato fatto di spalti vuoti. Sempre in bilico tra pro e contro, la nuova formula avrebbe il grandissimo pregio di moltiplicare le potenzialità commerciali del campionato, legandole a doppio filo al territorio: è in effetti la strada da percorrere, per un campionato che tante volte ha parlato di campanili senza poi riuscirne a sfruttarne a pieno le potenzialità.
Di riflessioni attorno a questa proposta se ne potrebbero fare e se ne faranno ancora molte, anche nei prossimi giorni. Troppa carne al fuoco per emettere verdetti ora. Una riflessione di fondo, tornando alla riforma, al numero delle squadre professionistiche e a come questa novità si iscrive nel panorama del calcio italiano, va però fatta. Se la Lega Pro ha il merito di essersi mossa, è difficile pensare che non debba fare i conti con tutto il resto. Si parte ancora dal presupposto di sessanta squadre in Serie C: sono troppe. Idem venti in A e venti in B. E possiamo anche concordare sul fatto che non sia l'unico problema, forse nemmeno il principale, ma è un muro contro cui ogni discussione intorno al futuro del pallone dovrà sbattere, prima o poi. Al capitolo meriti di questa proposta, magari, andrà ascritto il fatto che adesso di riforma si dovrà parlare in termini concreti, altrimenti la C ha (più o meno, vediamo cosa diranno le società) dimostrato di potersi muovere in solitaria: non è comunque poco.
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