A VICENZA TUTTO COME PREVISTO. MA RESTANO I DUBBI SU CERTI PERSONAGGI E IL LORO RUOLO. COME A MODENA TANTE DOMANDE, MA NIENTE RISPOSTE. INTANTO I MALI AUMENTANO E SI CONTINUA A CURARLI COI PLACEBO
TMW/TuttoC.com
Fallimento doveva essere e fallimento è stato. Anche se il Vicenza, a differenza del Modena, dovrebbe continuare a esistere e scendere in campo fino al termine della stagione grazie all'attivazione dell'esercizio provvisorio disposta dal Tribunale della città veneta. Per farlo serviranno, come spiegato dal curatore fallimentare Nerio De Bortoli, tre milioni di euro, una cifra non facile da reperire, ma neanche impossibile da reperire facendo leva sulla generosità dei molti che non vogliono che una società storica e ultracentenaria sparisca dal calcio italiano e la comunità vicentina perda un pezzo importante della propria storia. De Bortoli è chiamato a tentare un nuovo miracolo dopo quanto fatto 12 anni fa nella vicina Venezia, reduce dal nefasto passaggio di proprietà da Dal Cin a Gallo, con gli arancioneroverdi che vennero traghettati nelle mani di una cordata che vedeva figurare anche l'attuale sindaco della città Brugnaro facendo sì che potessero ripartire dall'allora C2 grazie al Lodo Petrucci.
Per Vicenza quella passata resterà una giornata triste, seppur attesa da tempo, che segna la fine di un'era e l'inizio di una nuova si spera senza i problemi degli ultimi anni. Sulla vicenda Vicenza restano però tanti dubbi e nodi da sciogliere a partire da quello relativo all'ultimo proprietario Fabio Sanfilippo il cui unico merito, involontario, è quello di essere riuscito a unire una tifoseria e addirittura di far schierare la Questura dalla parte degli stessi tifosi. Chi è Sanfilippo? Ha agito da solo o aveva qualcuno alle spalle? Perché – come del resto Aldo Taddeo a Modena – si è imbarcato in un'impresa che si sapeva fallimentare? A che pro? Tutte domande che probabilmente resteranno inevase e senza risposte come del resto si è visto pochi mesi fa nella città della Ghirlandina. Domande a cui, oltre i diretti interessati, dovrebbero rispondere anche quelle istituzioni incaricate di vigilare e che o non lo fanno o lo fanno male visto che si viaggia ormai al ritmo di almeno cinque fallimenti l'anno nell'ultimo lustro.
Solo due anni e mezzo fa era tutto uno sbandierare di “mai più casi Parma”, ma a a quanto pare erano più parole di facciata che una seria presa di coscienza del mondo del calcio sui problemi che lo attanagliano e che col passare del tempo anziché ridursi si fanno sempre più grandi e numerosi a causa di una governance più interessata a fare gli interessi di pochi che di tutti, come se la sparizione di società e piazze gloriose, la perdita di tifosi e l'indebolimento generale del calcio italiano non fosse affare di quelle poche che tirano le fila e guardano tutte dall'alto in basso. Servirebbe una netta inversione di tendenza da parte del futuro presidente federale, una riforma radicale, ma personalmente ho molti dubbi che questo possa avvenire e che le solite logiche politiche possano essere superate per il bene del calcio italiano. L'eliminazione dal prossimo Mondiale in fondo è ben poca cosa se paragonata allo stato complessivo del movimento italiano, è solo la punta dell'iceberg, il sintomo più evidente di un malessere che va avanti almeno da 15 anni e che finora è stato curato solo con qualche placebo anziché con gli antibiotici di cui avrebbe bisogno.
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