Quand'è giusto esonerare un tecnico? Non tutte le società non capiscono il momento per farlo. E c'è chi usa l'allenatore come un parafulmine. I tre esempi che ci regala la Serie C
Che l’esonero del tecnico sia una sorta di sport nazionale in Italia è oramai cosa risaputa. Sia dentro che fuori i confini nazionali. E ovviamente la Serie C non fa eccezione. Nell’ultimo periodo, però, molti club hanno mostrato di avere maggiore pazienza e voglia di portare avanti una progettualità non legata esclusivamente ai risultati. Una scelta, questa, che fa onore alle società. Se però il progetto in questione ha delle mancanze (come spesso accade) il ruolo del tecnico assume una doppia lettura: colpevole per una parte dell’opinione pubblica e parafulmine per chi tale struttura sportiva l’ha messa in piedi seppur con evidenti lacune. Su questo dondolo molto molto precario ci stanno diverse società. E il problema concreto, in questi casi, è capire dove sta il reale punto d’equilibrio.
A Vercelli, casa della Pro, ad esempio, la dirigenza anche dopo la sconfitta contro il Padova ha confermato Giuseppe Scienza nonostante fosse la terza sconfitta consecutiva e il computo delle vittorie nelle ultime dieci giornate di campionato sia fermo a uno. La gara interna contro la Triestina del prossimo weekend, dunque, riveste un ruolo assolutamente decisivo: il tecnico delle Bianche Casacche nella sua precedente avventura a Monopoli ha dimostrato tutte le sue qualità e dunque si merita il tempo che occorre, ma non può essere infinito. Perché se è vero che la zona playoff è letteralmente ad un passo, quella playout è a soli quattro punti e con un trend come quello evidenziato nell’ultima decade di partite non si può scherzare. Anche se la squadra ha indubbiamente delle qualità inespresse.
Discorso diverso, invece, per il Pescara. La formazione affidata a Gaetano Auteri arriva da due sole vittorie nelle ultime dieci giornate dopo averne conquistate tre nelle precedenti sei. La sensazione di solidità messa in mostra dalla Pro Vercelli prima dell’attuale fase di crisi, all’Adriatico, invece, non si è mai percepita. Anche qui la società ha scelto di dare ancora fiducia all’allenatore siciliano, ma le motivazioni non sono solo da ricercare nella fiducia che Daniele Sebastiani ha nella sua esperienza e nelle sue qualità. La sensazione è che si attenda il mercato di gennaio per dare vera e propria forma ad una squadra che ad oggi una precisa non ne ha. Sia in fase offensiva che difensiva. La riprova di tutto questo arriva dall’altalena di rendimento messa in mostra ma anche dalle difficoltà caratteriali della squadra contro qualsiasi tipo di avversario.
Infine ecco la scelta del Catanzaro. Le tre giornate senza vittorie hanno reso la classifica meni scintillante, ma è impossibile parlare di una squadra in crisi.
Eppure la società gestita da uomini d’esperienza come il ds Pelliccioni, il dg Foresti e il presidente Noto ha, prima difeso a spada tratta, Antonio Calabro e poi deciso di cambiare timoniere. Non tanto per l’evidenza di una squadra in crisi, ma più per aver capito che qualcosa all’interno di quel rapporto si era rotto e che, dunque, doveva essere riparato prima che il danno s’ingigantisse. Al suo posto arriva Vincenzo Vivarini tecnico di grande esperienza e non solo in Lega Pro. E’ vero che lo scorso anno le cose per lui non sono andate benissimo con la Virtus Entella, ma quanto fatto vedere nelle stagioni precedenti in piazze come Bari, Ascoli ed Empoli ne dimostrano il valore assoluto. Tanto che il club calabrese lo ha messo sotto contratto per i prossimi diciotto mesi con il chiaro obiettivo di guardare oltre le mire stagionali. Come un progetto tecnico serio deve essere in grado di fare.
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IL PUNTO di Valeria Debbia
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