Voglio far arrabbiare per l'ultima volta il mio amico Christian Argurio
Era una brava persona.
Era un professionista competente.
Era una brava persona.
Aveva un grande preparazione sul calcio internazionale.
Era una brava persona.
Incarnava al meglio le qualità che si devono avere per lavorare in questo mondo.
Era una brava persona.
Era un intenditore di calcio.
Era una brava persona.
Era innamorato del suo lavoro.
Era una brava persona.
Alcune affermazioni diverse fra loro, ma comunque assonanti. Una frase ripetuta in continuazione. Quasi ossessivamente. Da qualsiasi persona nelle ore successive all’annuncio da parte del Novara dell’improvvisa scomparsa di Christian Argurio, ds del club piemontese, a soli 52 anni. Per un malore veloce quanto letale.
Ho avuto modo di conoscere Christian non ricordo neanche quanti anni fa. Entrambi sicuramente più giovani. Lui già più esperto delle situazioni del calcio rispetto al sottoscritto. In fondo la distanza anagrafica ne faceva per me, cronista alle prime armi, un naturale punto di riferimento. Una di quelle persone con le quali instaurare un rapporto basato sul confronto, sul rispetto, sulla condivisione e sulla medesima passione per questo sport, il calcio. Anche se visto da posizioni differenti.
Col tempo quel rapporto professionale, ho il privilegio di poter dire che si è trasformato in amicizia. Anche se a distanza, ma comunque amicizia.
Quella che se l’uno aveva un problema o una necessità lavorativa sapeva di poter contare sull’altro.
Quella che faceva dire ad uno, dal suo ruolo di dirigente ieri a Catania, oggi a Novara: “Vedi tu come descrivere la cosa… sai come la penso”; mentre l’altro, rompiscatole per professione e inclinazione, a chiudere le telefonate con il più classico “Aspetto te ad uscire con l’articolo. Mi fido”.
Era anche quella che porta ad informarti delle vicissitudini l’uno dell’altro, in modo slegato dal lavoro, se i giorni di silenzio che intercorrevano erano troppi.
Quella che ti porta ad allungare le telefonate passando dal lavoro alla vita di tutti i giorni senza neanche rendertene conto. Con i capitoli che si chiudono da raccontare e le cose belle, ma belle davvero, che nascono, crescono e che vuoi ammirare. Come il suo bimbo di cui era orgoglioso e felice. O il suo rapporto con la sua compagna, Roberta.
Vorrei raccontare tanto altro su quello che è stato Christian Argurio in questi anni per il sottoscritto, ma non sarebbe giusto farlo. Perché non amava troppo la ribalta. Preferiva che a parlare per lui fossero i fatti, i giocatori scoperti, i risultati sul campo, il pensiero che avevano di lui coloro che avevano avuto modo di conoscerlo.
Per questo mi fermo qui. E anzi chiedo scusa al direttore sportivo del Novara Christian Argurio se ho esagerato nel rivelare qualche dettaglio di troppo delle nostre telefonate “di lavoro”. Al mio amico Christian, invece, non voglio dire addio. Non sarebbe giusto. Voglio però farlo arrabbiare almeno un’ultima volta rendendo noto l’ultimo scambio di messaggi che abbiamo avuto, legato al lavoro.
Di fronte ad una mia necessità, lui aveva trovato una soluzione. Io, allora, da sincero ruffiano quale sono gli ho scritto: “Sei il numero uno”.
Lui, una ventina di minuti, dopo mi ha risposto: “Sai che non ti abbandono mai”.
Non lo fare Chris.