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La scelta dell'allenatore è diventata una scommessa a cuor leggero

di Dario Lo Cascio

"Mal che vada lo cambiamo entro le prime dieci partite". Questa frase, dietro le quinte, quante volte sarà stata detta? Forse più di quelle che pensiamo. Sì, parliamo ancora, nostro malgrado, di allenatori. 

Alla luce di quanto accaduto nelle ultime settimane, nelle quali sono fioccati anche in Serie C i primi esoneri eccellenti, chi vi scrive si è pressoché definitivamente convinto che, in particolare nella nostra categoria di riferimento, l'allenatore sia diventato una sorta di scommessa. Una scelta sulla quale, tanto, governa il caso e quindi si può prendere anche a cuor leggero.

Non vogliamo essere particolarmente critici con i club. È chiaro che, quando d'estate si punta a un nuovo allenatore, la società cerchi di ingaggiare quello che reputi migliore per il proprio "progetto". Tra poco spiego perché ho scritto progetto tra virgolette. Si stila una lista, si contattano i tecnici. Capita che qualcuno rifiuti, vuoi per motivi economici, vuoi per questioni tecniche, vuoi perché non convinto del "progetto". Si depenna e si passa al prossimo, finché non c'è il "match" da entrambe le parti. 

Torniamo al progetto. Qui va aperta una parentesi. Perché il progetto, tendenzialmente, è vincere. Vincere per essere promossi, vincere per arrivare almeno ai playoff, vincere per salvarsi. Eccetera. Vincere. Far punti. Creare una squadra che giri bene e che vinca le partite. E allora si sceglie l'allenatore che si sposi bene con il progetto. Ma un "progetto" serio non può non prevedere che, almeno all'inizio, per ingranare, ci voglia del tempo. 

Immaginiamo una squadra che cambia 12, 15, anche 20 calciatori in rosa, con un allenatore nuovo. Quante volte capita che si crei da subito l'alchimia giusta e che la squadra trovi una continuità - indispensabile per arrivare primi o tra i primi - che duri tutta la stagione? Il campionato lo vince una squadra su venti, i playoff li vincono una squadra su 27. Affidarsi alla possibilità di riuscire in questa impresa "per caso" appare piuttosto azzardato.

L'esperienza dovrebbe dire che, per vincere, serve un progetto, bisogna programmare, ci si deve dare un obiettivo a medio termine. Non è detto che funzioni, ma di casi come il Mantova della scorsa stagione se ne registra uno ogni quanti anni? Un tecnico quasi esordiente, una squadra riammessa, un gruppo che gira come un orologio svizzero e alcuni singoli in stato di grazia che fanno la differenza. Non si può sperare in questo, è l'eccezione che conferma la regola. 

Eppure sembra che sempre più club ragionino in questo senso. Nella scorsa stagione 36 club su 60 hanno cambiato allenatore almeno una volta. C'è chi, nell'arco dello stesso torneo, lo ha fatto 3, 4, 5 volte. 

Da qui la nostra provocazione. Se i calciatori possono essere cambiati e scambiati solo in determinate finestre, perché non fare qualcosa di simile anche con gli allenatori? Mettere un limite agli esoneri o ai tecnici che si possono ingaggiare in una stagione, o un minimo di partite o di risultati negativi prima di sollevare il tecnico dall'incarico. 

Forse esonerare e cambiare tecnico è diventato sin troppo semplice. Anche a fronte della regola nuova che prevede che si possa ora tornare in pista con un nuovo club se esonerati entro una certa data. L'esonero e la possibilità di esonerare sono diventati una componente del sistema. Che a pensarci bene, in un mondo, quello del calcio, dove si parla di progetti e di programmazione, è quantomeno paradossale.