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Il calcio alla prova della riforma: si riconosca il ruolo della C, il campionato dei giovani

di Ivan Cardia

È una riforma di sistema o una resa dei conti politica? Crediamo che la trattativa, perché di questo si tratta, sulla riforma dello statuto federale debba rispondere anzitutto a questa domanda. Nelle prossime ore, a Roma, si terrà un consiglio federale prevedibilmente infuocato, dal quale dovrà, meglio dovrebbe, arrivare la proposta definitiva da discutere all'assemblea straordinaria del prossimo 4 novembre.

L'impressione è che si tratti di un redde rationem tra i due storici avversari della politica calcistica italiana nell'ultimo decennio: da un lato, Gabriele Gravina. Dall'altro, Claudio Lotito. Il primo ha ricostruito, con qualche difficoltà e l'indiscussa abilità politica, un consenso molto ampio. Arriva al confronto forte dei voti della Serie D, degli allenatori, dei calciatori. Anche della Serie B quasi al completo, grazie al consigliere in più messo sul piatto per il campionato cadetto, ramoscello d'ulivo verso il ministro Abodi. E pure di buona parte della Serie A, con le big molto positive sull'ultima proposta. Il secondo non ha il consenso dei bei tempi andati: conta su una metà - poco più o poco meno, è anche questo uno dei punti - del massimo campionato e sulla vicinanza al governo, che nelle ultime ore ha richiamato all'ordine lo stesso Gravina, tramite le parole di Mulé.

Nel mezzo, la Serie C, che si gioca una partita delicata per la propria sopravvivenza. Intendiamoci: la proposta di Gravina ha un suo senso, non possiamo ridurla esclusivamente a mero calcolo politico. La Serie A ferma al 12% della rappresentanza politica è un nonsense storico del calcio italiano ed è qualcosa che va ritoccata. Si può discutere di altri aspetti - per esempio, i dilettanti hanno una grande penetrazione e rappresentatività sociale, ma tutto sommato potrebbero anche loro vedersi ritoccate le percentuali elettorali, anziché aumentate - ma una ratio c'è e non la discutiamo.

Il punto, ci sembra, è che in questo contesto la C sa, vaso di coccio tra i due litiganti pronti a saccheggiarla per i propri conti, di dover cedere a qualcosa. Ma non può finire stritolata, e non lo diciamo certo per interesse. Lasciamo anche da parte quella sensazione di tradimento che serpeggia tra i presidenti di terza serie, storici sostenitori dello stesso Gravina e che ora si sentono abbandonati. It's politics, baby. Il tema è che, a fronte di una comprensibile rinuncia di natura politica, ci si aspetta che la riforma riconosca il ruolo della C.


Sociale, anzitutto, ma non solo. Da anni sosteniamo che la C sia e debba essere il campionato dei giovani: lo è diventato e lavora per esserlo ancora di più, pensiamo per esempio alla riforma Zola. Studiando un salary cap che inevitabilmente abbatterebbe i costi e spingerebbe sempre più in quella direzione. Del resto, ha dato disponibilità - a differenza di altri - ad accogliere le seconde squadre, che anche noi consideriamo il futuro del calcio italiano. Di fronte a questo serbatoio, a questa identità legata alla formazione dei giovani (sia calciatori, che dirigenti, che arbitri), crediamo sia giusto - in un ragionamento di sistema - riconoscere al campionato la propria specificità. Mica per gli interessi di orticello. Per il bene di tutti.


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