La prima Serie A con l'Ancona e il legame con Morosini: Andrea Bruniera
È uno degli esempi più lampanti di cosa voglia dire arrivare tra i grandi partendo dal basso: Andrea Bruniera, difensore nato a Treviso il 10 febbraio 1964, è uno che si è fatto le ossa, a partire dal Montebelluna in Serie C2, fino ad arrivare alla Serie A, prima con la maglia dell'Udinese, poi con quella dell'Ancona, la squadra della città dove oggi risiede e della quale è stato uno dei baluardi della prima e storica promozione in massima serie, avvenuta nel 1992. E non poteva certo mancare un giudizio autorevole come il suo, riguardo al giorne d'andata disputato dalla squadra dorica, nata la scorsa estate in seguito alla sinergia con il Matelica: "Devo dire che è stato un affare per entrambe le società, Matelica ha trovato un capoluogo di regione, quindi una visibilità molto diversa rispetto a prima. L'Ancona ha invece ritrovato il professionismo che mancava da tempo e che è giusto che una città così abbia. Hanno unito interessi comuni facendo il bene di tutti. La squadra è buona, l'ho vista diverse volte, anche se il campionato ha ormai due primedonne come Modena e Reggiana che non lasceranno altro che le briciole alle avversarie. I dorici sono però tra quelle squadre che si contenderanno un posto importante nei play-off, è una squadra giovane e ben costruita, che ha riportato un entusiasmo che in città mancava". Con 55 presenze e 2 reti in Serie A, è lui il protagonista del Club dei 100, il longform voluto da Lega Pro e AIC.
Gli esordi di Montebelluna. Che Bruniera fosse un predestinato, lo si capiva subito; basti pensare che il suo esordio in C2 avviene addirittura a 17 anni: "La C2 a 17 anni era una cosa abbastanza anomala" - racconta Bruniera a TuttoC - "ma il Montebelluna era una società decisamente all'avanguardia per quel che riguarda il settore giovanile, dal quale buttavano nella mischia ragazzini come me in modo abbastanza frequente. E' stata un'annata importante, perché poi mi ha permesso di andare a Bergamo".
A Bergamo con Donadoni & co. Già, Bergamo: Bruniera è uno dei giovani più promettenti del Montebelluna e i talent scout dell'Atalanta lo capiscono subito. Ecco allora che Andrea fa le valigie, destinazione Zingonia: "L'Atalanta, allora come oggi, aveva un settore giovanile tra i migliori d'Italia. Ho avuto compagni che hanno fatto una grande carriera, come Donadoni, Pacione, Bortolussi e Barcella, tra gli altri. Sono stati due anni importanti, nei quali ho acquisito una maturazione professionale importante". Purtroppo però, per Andrea non arriverà mai l'esordio in prima squadra: "Non ho fatto benissimo, non sono riuscito a fare quel salto in più che serviva. Bergamo mi ha dato tanto, ma io sono stato una meteora. L'Atalanta mi ha dato grandi nozioni, però non le ho sapute sfruttare del tutto. Sarebbe stato un sogno riuscire ad arrivare in prima squadra, ma per me non fu così. Laggiù funzionava che dopo un paio d'anni di apprendistato, o rimanevi lì e facevi le cose per bene, oppure andavi in prestito in Serie C a farti le ossa".
Il primo approccio con le Marche. Farsi le ossa, appunto: così, dopo due anni nelle giovanili atalantine, Andrea viene mandato in prestito alla Civitanovese, squadra marchigiana che negli anni ottanta vive il periodo migliore della sua storia, disputando i campionati di Serie C1. Per Bruniera, inizia quindi un viaggio in quella che da allora sarà la sua seconda casa: le Marche. Quello che doveva essere inizialmente un solo anno di prestito, si trasformerà alla fine in tre anni decisamente proficui tra i Pro: "A Civitanova mi sono trovato benissimo, ha rappresentato il lancio per me, perché da giovane calciatore in mezzo a tanti esperti, mi sono ritagliato uno spazio importante. Lì ho capito che il calcio sarebbe stato il mio lavoro". Da lì, il passaggio all'Ancona, squadra a cui ha legato la maggior parte della sua carriera agonistica. Al primo anno, arriva subito la vittoria del campionato e la conseguente promozione in Serie B, che nel capoluogo mancava da ben 37 anni: "Fu un'annata meravigliosa, perché si vinceva sempre. Eravamo una squadra forte, costruita bene dal ds Italo Castellani, con Giancarlo Cadè allenatore e con il vecchio Stadio Dorico, situato proprio nel cuore della città. Non eravamo favoritissimi, ma eravamo davvero in gamba e siamo riusciti a centrare una promozione risvegliando un'intera città, che ha gioito con noi e ci ha adottato tutti come anconetani. A fine anno andavi in giro con tutti che ci ringraziavano". Seguirà una stagione in cadetteria, che si concluderà con un più che dignitoso undicesimo posto.
L'esordio in A nell'Udinese degli argentini. Ha 25 anni Andrea Bruniera, quando nell'estate del 1989 viene ceduto in prestito all'Udinese di Giampaolo Pozzo, neopromossa in Serie A, segno che il suo ottimo biennio ad Ancona non è affatto passato inosservato. Una squadra, quella friulana, che in estate si è rafforzata anche con gli arrivi degli argentini Abel Balbo e Nestor Sensini, due che per intenderci, pochi mesi più tardi si laureeranno vicecampioni del mondo nella finale persa a Roma contro la Germania: da retrocessi. Sì, perché in quella travagliata stagione, la formazione allenata prima da Bruno Mazzia e poi da Rino Marchesi, finirà al 15° posto, con conseguente retrocessione in Serie B. Se a livello di squadra l'annata si rivela infelice, non si può dire altrettanto a livello personale per Bruniera, che si tolse anche la soddisfazione di segnare il suo primo gol in massima serie: "Era una società forte e ambiziosa, visto che c'era già la famiglia Pozzo. La squadra era attrezzata per rimanere in Serie A. Io ero l'ultimo arrivato, ma riuscii a collezionare 28 presenze. Il gol lo feci al Bari in una partita terribile: segnai il 2-1 a cinque minuti dalla fine e poi ci pareggiarono all'ultimo minuto, quindi fu una gioia che si consumò subito".
Il ritorno ad Ancona e la prima storica promozione in Serie A. Così, l'Udinese retrocede e decide di non riscattare Bruniera: poco male, perché di lì ad un paio d'anni, Andrea si riprenderà la massima serie sul campo. Torna in quell'Ancona che lo ha lanciato tra i grandi e lui la ripaga nel miglior modo possibile: dopo un nono posto in Serie B al primo anno, la stagione successiva è quella dell'apoteosi, con i dorici di Vincenzo Guerini che ottengono la loro prima e storica promozione in Serie A, grazie al decisivo pareggio di Bologna alla penultima giornata, che renderà indolore la successiva sconfitta casalinga contro la sua ex Udinese: "Quel 7 giugno 1992 rimarrà per sempre una giornata indimenticabile, era un epilogo già scritto. La festa doveva esserci a tutti i costi. Abbiamo realizzato cos'era successo davvero soltanto pochi giorni dopo, con la festa, il ritorno in pullman e la carovana di macchine ad Ancona, per non parlare della bellissima curva biancorossa al Dall'Ara: fu lì che realizzammo di aver fatto qualcosa di storico, perché l'Ancona in Serie A non l'aveva preventivata nessuno. Non eravamo la squadra più forte, ma avevamo un gruppo granitico, che ci ha permesso di salire di categoria: per me è stato l'apice della carriera". La permanenza dei dorici in massima serie fu tuttavia breve, visto che si concluse con l'immediata retrocessione, ma l'Ancona ebbe comunque modo di togliersi una soddisfazione non da poco, con la schiacciante vittoria sull'Inter (3-0), in quella che fu la gara d'esordio nel nuovo Stadio Del Conero nel bel mezzo di un diluvio: "Fu un esordio bagnato e molto fortunato, una delle poche partite che quell'anno si era indirizzata bene, visto che per noi fu un'annata molto complicata. Non c'erano le certezze di adesso, dove le piccole possono giocarsela con le grandi, ma c'erano diversità strutturali decisamente diverse da oggi e noi questo lo abbiamo sofferto molto". Così, l'Ancona torna in Serie B e si toglie anche la soddisfazione di arrivare in finale di Coppa Italia: dopo aver eliminato nell'ordine Giarre, Napoli, Avellino, Venezia e Torino, nell'atto conclusivo la squadra si arrende alla Sampdoria di Sven-Goran Eriksson e dei vari Pagliuca, Vierchowod, Mancini e Gullit. Un buon 0-0 al Del Conero all'andata, prima di soccombere a Marassi sotto i colpi della banda di Mantovani. Finì addirittura 6-1 per i blucerchiati: "E' stato un momento di gloria, perché per quanto ogni tanto la manifestazione sia snobbata, arrivare in finale di Coppa Italia ha rappresentato un altro evento storico. Peccato solo per quella gara di Genova, il 6-1 è stato umiliante sotto tutti i punti di vista, perché avevamo retto fino al primo tempo. Ci stava perdere, ma avremmo dovuto farlo con un po' di dignità in più, perché a livello sportivo non si può commentare un 6-1". Fu il commiato della sua esperienza anconetana, visto che nella stagione successiva lasciò la società a dicembre dopo aver rimediato la rottura del tendine d'achille.
Gli ultimi anni. Lasciato l'amato Ancona, Bruniera si inoltra in un mini tour in giro per l'Italia: Fano, Spal, Trapani e Fermana le squadre in cui Andrea gioca nei suoi ultimi cinque anni di carriera: "Una volta ristabilitomi dall'infortunio ho cominciato a girare, per poi smettere nel 1999 alla Fermana. Sono stato bene ovunque, ho trovato molti amici. A livello professionale cercavo come sempre di dare il meglio di me, mentre dal punto di vista umano ho avuto modo di fare esperienze diverse. Comuque ho bei ricordi di tutte le piazze in cui ho giocato". A Fermo è rimasto legato, tant'è che dopo aver chiuso la carriera da calciatore ha intrapreso quella di allenatore, prima con gli allievi, poi con la prima squadra, nel 2003-04, fino ad arrivare all'Under 17 e all'incarico di vice allenatore ricorperto con Giovanni Cornacchini nel 2020-21: "La Fermana mi ha dato la possibilità di cominciare un'altra carriera, non è sempre facile effettuare il passaggio da calciatore ad allenatore. Per me Fermo è la mia seconda casa dopo Ancona, ho tanti amici e spesso vado a vedere le partite. Aver avuto la possibilità di lavorare sia con i grandi che con i più giovani, è stato sicuramente importante".
L'esperienza in panchina. Bruniera comincia la carriera da allenatore con le squadre dilettantistiche marchigiane: nell'ordine sono Real Vallesina, Fermana appunto, Gualdo e Biagio Nazzaro Chiaravalle, per poi passare nel 2006-07 alla guida della Primavera del Verona. La svolta avviene nel 2007, quando Elio Gustinetti lo chiama a ricoprire il ruolo di allenatore in seconda all'AlbinoLeffe: "Ho cominciato una carriera diversa, nella quale mi vedo bene, in piazze importanti, come Piacenza e Livorno tra le altre. All'AlbinoLeffe ho lavorato prima con Gustinetti e poi con Armando Madonna, l'allenatore al quale sono più legato e con il quale ho girato diverse squadre. Abbiamo vissuto esperienze belle ed altre meno belle". Proprio con Madonna all'AlbinoLeffe, Andrea ha sfiorato la promozione in Serie A, sfumata soltanto nella finale play-off contro il Lecce: "Fu una doppia sfida molto equilibrata, loro erano sicuramente più esperti, con più tecnica e più spettatori, però noi quell'anno facemmo cose straordinarie, la nostra era una squadra che giocava a memoria. Purtroppo perdemmo in casa in modo banale e non riuscimmo a ribaltare la situazione a Lecce. Quella promozione avrebbe potuto svoltare la carriera di tutti noi".
Il dramma Morosini. C'è un episodio che resterà indelebile nella vita di Andrea, ancora prima che nella carriera: la tragica scomparsa di Piermario Morosini. È il 14 aprile 2012 e il Livorno (allora allenato proprio da Madonna con Bruniera come vice) è impegnato all'Adriatico contro il Pescara di Zeman e dei vari Verratti, Insigne e Immobile: nel secondo tempo, Morosini, in forza agli amaranto, stramazza a terra mentre il gioco è in corso, tentando di rialzarsi invano. Portato in ospedale con una corsa disperata in ambulanza, il suo cuore cessa di battere nel pomeriggio. Una giornata drammatica, ancora impressa nella mente di Bruniera: "Per me è stato un fatto terribile, che ho ancora davanti ai miei occhi. Le vittorie passano in un attimo, ma le cose brutte ti restano sempre. Quella giornata lì non la dimenticherò mai, perché è stata una tragedia grossissima: perdere un ragazzo in campo è da pelle d'oca solo a parlarne. Piermario era un ragazzo splendido, un pezzo di pane e amico di tutti".
Insegnare ai giovani. È questo quello che sta facendo negli ultimi anni; trasferire un po' della sua esperienza ai giovani calciatori: "Negli ultimi due anni alla Fermana sono stato soddisfatto del mio lavoro, perché ho avuto la possibilità di trasferire i miei valori calcistici e umani ai più giovani. In un mondo che sta andando alla deriva, è importante dare un indirizzo preciso ai ragazzi che segui e se lo comprendi, è un lavoro che ti gratifica e che ti dà tante soddisfazioni". Quale sarà il suo futuro?: "Il mio è un lavoro che mi piace, ma mi piace farlo anche ai livelli più alti possibili, perché c'è una soddisfazione personale che non si è placata. Mi son fermato perché c'è una concreta possibilità di andare a lavorare con mister Venturato, quindi il mio percorso proseguirà sicuramente con i grandi. Tuttavia, non escludo la possibilità di fare ogni tanto un passo indietro, per tornare a lavorare con i giovani, perché sono soddisfazioni diverse che vanno presi in differenti momenti del percorso". Parola di Andrea Bruniera, uno che ha ancora voglia di mettersi in gioco.