Giuseppe Alberga, una vita in biancorosso: dal Bari dei baresi al trenino
Svizzero di nascita, barese per tutto il resto. Giuseppe Alberga oggi del Bari fa il preparatore dei portieri nelle giovanili, ma in carriera ha accompagnato, praticamente per intero, gli anni ‘90 dei biancorossi. “Ho avuto la fortuna di vincere tre campionati, anche se non da protagonista: ero un buon secondo - racconta a TuttoC - non ho mai avuto la fortuna di partire titolare. Però ogni anno, alla fine, mi ritagliavo le miei dieci presenze”. Nato ad Adliswil, piccolo comune non lontano da Zurigo (“i miei genitori andarono lì per lavoro”), muove i primi passi nella Santo Stefano, realtà amatoriale di Modugno, alle porte di Bari, per poi entrare nel settore giovanile dei Galletti. Al netto di qualche prestito iniziale, saluterà il Bari soltanto a fine carriera, quando chiuderà fra Taranto e soprattutto Messina. “Una seconda Bari - dice Alberga della città peloritana - ho vissuto anni stupendi anche lì, conoscendo persone fantastiche a partire da Nicola Salerno. E poi o sono fortunato o porto fortuna, ho vinto due campionati anche lì”.
Dal Bari dei baresi… A inizio anni ‘80, un gruppo di ragazzi guidati da Enrico Catuzzi - un Sacchi che è arrivato anni prima di Sacchi - fa innamorare la città. Il motivo? La maggior parte dei giocatori è di Bari. È la squadra dei De Trizio, Iorio, De Rosa, Armenise, Onofrio Loseto e un giovanissimo Giovanni. Alberga si affaccia alle giovanili in quel periodo, anche se in prima squadra arriverà più tardi. Un Bari dei baresi, oggi, sembra utopia. “Non dobbiamo nasconderci dietro un dito - dice Alberga - è un discorso che si è perso perché lì si partiva dalla qualità. Il Bari sfornava giocatori in quantità industriale, ma di livello altissimo. Prima c’era gente come De Trizio, Loseto, Iorio e via dicendo. Poi è arrivata la generazione dei Bigica, Ventola, Amoruso”. Tra le due, quella dell’ex portiere oggi protagonista della nostra chiacchierata. Ma ci ci arriveremo: “Non credo - conclude Alberga sull’argomento - che sia un problema di Bari, ma italiano. Non facciamo nomi, ma guardate il panorama nazionale. Non ci sono più i Del Piero, i Totti e via dicendo. Oggi è difficile trovare grandissimi campioni come vent’anni fa in Italia”.
…a Platt, Boban, Joao Paulo. Ma sul migliore non ci sono dubbi. Nei suoi anni a Bari, oltre alla meglio gioventù locale, Alberga ha diviso lo spogliatoio con grandissimi giocatori, anche internazionali. Un nome su tutti? David Platt, capitano della nazionale inglese: “Una persona fantastica , è arrivato qui e si è messo a disposizione ed eravamo molto amici, giocatore fantastico - spiega Alberga - ma molto dipendeva dallo spogliatoio, da uno come Giovanni Loseto che metteva tutti a suo agio. Comunque, non me ne voglia nessuno, ma il miglior calciatore che ho visto a Bari è uno solo”. Cioè? “Io penso che uno come Pietro Maiellaro il Bari non lo abbia mai avuto. Gli altri lo vedevano in partita, io in allenato per 3-4 anni. Non ho mai incontrato un giocatore con le sue qualità. Lo metto al primo posto, senza dubbi”. Meglio di Joao Paulo? “Sì. Il brasiliano era fortissimo. Ma, come Maiellaro, nessuno”.
Dal della Vittoria all’astronave. Gli anni di Alberga sono storici, anche per la città. I mondiali del ’90 portano nuovi stadi, i biancorossi passano dal della Vittoria, l’impianto cittadino a due passi dal lungomare, al San Nicola. L’astronave di Renzo Piano, oggi una cattedrale del deserto. Che in realtà il capoluogo pugliese non ha mai davvero amato: “Al di là dell’ampiezza del della Vittoria, che comunque non è piccolo, il fatto è che era uno stadio catino. Un po’ come Marassi. È il campo della città. Il San Nicola è una cosa megagalattica, fantastica. Io quando lo vidi bene o male, lo paragonai all’Olimpico di Roma. Era una struttura nuova e bellissima, per carità. Però il della Vittoria ha qualcosa di diverso”. Un peccato, comunque, vedere il San Nicola così oggi: “Beh, parliamo di uno stadio che ha trent’anni. Vedo tanti sforzi dalle istituzioni e dalla società per provare a rimodernarlo. Ma alla fine tutto dipende dalle categorie, le cose vengono mano mano che vinci. Io sono convinto sia l’anno buono, ma non diciamo altro. In Serie B lo stadio sarebbe in automatico più bello, la tifoseria e la città in generale, senza offesa per nessuno, non c’entrano niente con la categoria. E neanche con la B in verità”.
La vittoria storica, gli allenatori. Alla prima stagione giocata al San Nicola è comunque legato uno dei migliori ricordi di Alberga: “Campionato ’90/91. Abbiamo vinto in casa contro un Milan stellare e con quel 2-1 ci siamo salvati. Davanti a sessantamila persone che festeggiavano. Una cosa pazzesca, poi, contro una squadra di livello mondiale. Diciamo che ho avuto la fortuna di giocare undici anni nel Bari - dice Alberga - e qualche soddisfazione me la sono tolta. Ho vinto tre campionati, ho giocato tante partite”. E poi in Serie A è stato protagonista di una sostanziale alternanza con Biato, come si fa oggi con i portieri: “Sono onesto, ho avuto tante occasioni di andare a fare il titolare altrove. Ma la società mi ha sempre trattato benissimo, come fa tuttora. Le dico una cosa: quando mi ruppi il crociato, sono rimasto fermo un anno. La società aveva la possibilità di risolvere il contratto e non mi ha mai tolto una lira. Quando sono rientrato, ero rimasto l’unico barese nel rinnovamento voluto da Materazzi e sono rimasto come uomo spogliatoio. Non dico che mi sono seduto sugli allori: sono fortunato a essere stato per anni nella squadra della mia città, in una società che mi ha voluto bene da tutti i punti di vista. A un certo punto ho deciso di rimanere a Bari. E non me ne pento di certo”. In questi anni, tanti protagonisti. Soprattutto in panchina. I due allenatori a cui Alberga è più legato sono due, Salvemini e Materazzi: “Io credo che gli anni con Salvemini, siano tra i più belli nella storia del Bari. Con Materazzi poi ho avuto la fortuna di esserne collaboratore tecnico negli anni successivi. Catuzzi? Era un maestro di calcio, è riuscito a esprimerlo con il Bari dei baresi, poi al ritorno un po’ meno”. Un presidente: Matarrese. Un capitolo a parte lo meritano due personaggi che hanno fatto la storia del Bari. Il presidente, Vincenzo Matarrese. A Bari, dovete saperlo, non ci sono vie di mezzo: c’è chi lo ha amato e c’è chi lo ha odiato. Quando è scomparso, il 13 giugno 2016, tutti hanno però pianto, perché se ne andava un uomo di un altro calcio. “I tifosi possono pensare quello che vogliono, non mi permetto di giudicare. Per noi però era un padre - ricorda Alberga - era un mondo famigliare, era il mondo di Sensi, Rozzi, Anconetani. Non sta a me giudicarli, ma quando veniva da te ti chiedeva come stavi, come avevi passato la giornata, a me a 26 anni chiedeva ogni giorno quando mi sarei sposato. Non era un presidente, era come un padre che chiedeva ai figli come gli andava la vita”. E se gli si chiede se pensa che Bari sia stata un po’ ingenerosa nei suoi confronti, Alberga risponde così: “Non penso, diciamo che si creò una frattura profonda. È successo tutto quando ero secondo con Fontana: arrivò Fascetti e lì si incrinò il rapporto con la tifoseria. Non entro nel merito, ma non penso che la città sia stata ingrata. Ci sono stati vicini sempre, però non era facile neanche per Matarrese, che cercava di tenere tutto insieme. Si schierò con Fascetti e non glielo perdonarono”.
Il trenino e Loseto. Tra gli uomini di quel Bari, poi, ecco un altro protagonista. Giovanni Loseto, capitano di mille battaglie: “Al di là del giocatore, che comunque penso non si possa discutere, era un ambasciatore della città di Bari. Si metteva sempre a disposizione di chi arrivava e li faceva sentire a casa propria. Lo spogliatoio era fantastico, e dipendeva tutto da da due cose: le vittorie e Loseto. Io ho dormito cinque anni in camera con lui: lo spogliatoio si reggeva su di lui. Teneva tantissimo alla maglia del Bari, come suo fratello Onofrio del resto. Mi ricordo quando doveva andare alla Roma. Il Bari era pronto ad accontentarlo, ma lui alla fine disse di no. Magari sarebbe finito in nazionale, per me non aveva niente di meno rispetto a un Cannavaro. Era veramente fortissimo”. Su Loseto, Alberga è prodigo di ricordi: “Giocavamo in B contro la Fiorentina. Marcava Batistuta, finirono testa contro testa. Sanguinavano entrambi e li portarono fuori in barella. Giovanni aveva avuto la peggio ma, quando vide che Batistuta rientrava, disse che voleva farlo a tutti i costi. Non avrebbe mai abbandonato la squadra”. L’ultimo aneddoto, è riservato a un’esultanza che ha fatto la storia del calcio italiano. Perché Alberga era parte dello spogliatoio che diede vita all’iconico trentino: “Ero secondo di Fontana all’epoca, a un certo punto Guerrero andò sulla bandierina e si mise a quattro zampe. Poi ci raccontò che la sua idea era quella di imitare un cane. Però Bigica, che era un ragazzo eccezionale, si accodò a lui e dietro gli vennero altri quattro cinque ragazzi giovani, baresi, a partire da Amoruso che sarebbe poi diventato capitano dei Rangers. Formarono una coda di persone e nacque la leggenda”. Un po’ per caso, come tutte le grandi storie d’amore.